venerdì 28 ottobre 2016

12 Lezioni sull'Alchimia Spirituale Taoista - 5° lezione

11) L’utilità del non-essere
Trenta raggi convergono nel mozzo
Ma è il vuoto del mozzo l’essenziale della ruota.
I vasi son fatti di argilla
Ma è il vuoto interno che fa l’essenza del vaso.
Mura con finestre e porte formano una casa
Ma è il vuoto di essi che ne fa l’essenza.
In genere: l’essere serve come mezzo utile
Nel non-essere [nel vuoto] sta l’essenza.
Qui Lao-zi spiega in modo splendido il concetto taoista di ‘vuoto’. In noi occidentali la parola vuoto evoca la ‘mancanza di’, mentre nel concetto taoista rappresenta la ‘possibilità di’. Dal mozzo, al vaso, alla casa, al ventre della madre, alla Valle, all’Universo: tutto ha la possibilità di esistere e di trovare una collocazione grazie ad uno spazio vuoto. Il vuoto nella mente di pensieri discorsivi è l’essenza dell’Alchimia Spirituale Taoista. Il Su Wen, riferendosi al vuoto nella fisiologia umana dice: «Gli organi Tsang sono pieni, ma non possono mai essere saturati; gli intestini Fu sono vuoti, ma non possono mai essere completamente svuotati».
Il pieno contiene il vuoto, il vuoto contiene il pieno

 «I piedi dell’uomo occupano solo un piccolo spazio della Terra,
 ma è grazie allo spazio che ‘non’ occupano (il vuoto)
che l’uomo può camminare sulla Terra immensa».

Questa frase, sentita tanti anni fa, è stata quella che mi ha fatto approfondire prima e seguire poi il Tao. Ho pensato che se i Maestri taoisti usavano la negazione per affermare, allora essi erano fuori di dubbio menti eccezionali e, soprattutto, disancorati dal comune modo di pensare. Perciò avevano tutto un mondo di cose da farci vedere fuori dalla logica corrente della nostra cultura razionale e frazionata.
Ci sono molti modi individuali di spezzare la nostra mentalità razionale. L’Alchimia Spirituale, per esempio, è uno strumento meraviglioso per aiutarci a sentire la beatitudine che si accompagna al connettersi col nostro vuoto interno, il luogo dove sperimentate la Via del Tao.
Bisogna che ci impegniamo a diventare più coscienti del «luogo senza luogo» dentro di noi, dove tutti i nostri pensieri scorrono verso l’esterno. Dobbiamo trovate il modo di entrare nello spazio dentro di noi che è pulito, puro e in armonia con l’amore.


La differenza tra i santi e il resto di noi non è che loro hanno credenze amorevoli e pure e noi no; piuttosto, loro operano esclusivamente in base alla loro essenza, laddove la Via del Tao scorre invisibile attraverso il loro essere fisico. Questo è lo scopo principale dell’Alchimia Spirituale Taoista: il rimanere in silenzio, invitando la nostra essenza a rivelarsi e lasciandoci vivere il vuoto.

48) Dimenticare il sapere
Lo studio porta sempre più lontano,
La Via, seguita, porta sempre più indietro,
Sempre più indietro
Sino al non-agire originario.
Il non-agire e il non-volere fanno cedere ogni porta.
E’ attenendosi costantemente al non-agire
che ci si assicura la sovranità.
Non la si ottiene appena ci si dà all’agire.
L’azione conforme non volitiva (wu-wei) e il vuoto d’intenti edonistici apre la porta alla comprensione del meraviglioso modo di vivere che ci propone la Via.
Abituiamoci a scoprire la gioia nel mondo naturale piuttosto che cercare la nostra realizzazione nel possesso dei beni. In sostanza Lao-zi dice che la vera realtà non cambia perché non ha forma. Quindi più lasciamo che le cose si svolgono in modo naturale più vivremo in armonia con il Tao. Dobbiamo godere dei fiori, delle nuvole, dei tramonti, dei temporali, delle stelle, delle montagne e di tutte le persone che incontriamo. Dobbiamo essere con il mondo, dentro di esso e adorarlo, ma senza il bisogno di possederlo. Questa è la via della pace. Questa è la Via del Tao.

Da più di cinquecento anni, Kabir è considerato uno dei poeti più illustri dell’India. Una delle sue osservazioni più famose riassume il quarantottesimo capitolo del Daodejing:
Il pesce che in acqua soffre la sete

ha bisogno di un serio aiuto professionale

mercoledì 26 ottobre 2016

12 Lezioni sull'Alchimia Spirituale Taoista

... Il più importante insegnamento di tutte le Discipline meditative, e dell'Alchimia Spirituale Taoista in particolare, è quello di cercare dentro di noi quel Guerriero che non combatte contro avversari esterni, ma con le 100.000 ombre interne, le stesse che ci dicono: “Ma chi te lo fa fare, smetti!”. E' combattere con noi stessi, mettere alla prova la nostra reale volontà di perseverare e la nostra determinazione nel raggiungere e possedere noi stessi e non un risultato esterno.
Quella del Guerriero non si basa su concetti codificati; l'anticonformismo del taoista è il sorriso del bambino, è il non prendere nessun  riferimento, se non il continuo mutamento.


In Occidente, l'Alchimia Spirituale Taoista è una disciplina d'elite perché non ti dà un credo a cui aggrapparsi, delle divinità da pregare, un modello da seguire, ma ti dice: "Impara ad essere ciò che sei in naturale scioltezza". E' la cosa più elementare e, nello stesso tempo, la più difficile da seguire. Non ti impone il rigore di un setting (la messa della domenica, la meditazione ad una data ora o altro); il taoista ti dice: "Impara a vivere la vita", che significa semplicemente respirare in modo adeguato, mangiare in modo salutare, dormire il più serenamente possibile, amare in modo reale, il tutto fatto nei tempi giusti e nei modi conformi. Esattamente ciò a cui tutti aspirano, ma che nella realtà continua, per la maggior parte delle persone, ad essere un sogno. Allora perché non si cimentano in un percorso che ti indica una possibilità? perché un programma senza regole castranti, senza rituali, senza castighi non è un programma che attira. 


Con questo non è nemmeno vero che il praticante dell'Alchimia Spirituale possa fare impunemente tutto ciò che più gli aggrada fare. Che cosa accade allora se non segue un sano e naturale modo di vivere? 
Vivrà peggio e, nell'ipotesi più nefasta, di meno.
Tutto qui? 
Sì!  
La nostra coerenza, nel Tao è incoerenza. Il prezzo da pagare per la trasgressione da una vita serena e realizzata è soltanto quella di poter incorrere in malattie psicosomatiche, ansia, insonnia, malesseri esistenziali, etc.
Quando una persona cerca di Essere, 
non può accettare ne' il dogma, ne' la disquisizione filosofica.
Essere è sperimentazione 

L'Alchimia Spirituale Taoista è una delle poche discipline in cui l'apparente diversità tra i Maestri deriva solo dalla diversità della loro esperienza personale...

venerdì 21 ottobre 2016

Una particolarità della Meditazione taoista: la Corte Gialla

L’unione dei tre centri [Jing (corpo), Qi (energia), Shen (spirito)] è molto importante nel processo della meditazione taoista, dato che essi rappresentano i luoghi in cui gli Spiriti vengono riuniti.
Sebbene questi luoghi rappresentino un certo livello di profondità nell'uomo, si dà tuttavia un ulteriore centro al di là di essi, detto la Corte Gialla, huangting.
Essa differisce dagli altri tre per il fatto di non essere localizzabile nel corpo. E’ posta oltre, ma è il luogo in cui è possibile incontrare il Tao.
Il Tao incontrato nella Corte Gialla non è il Tao trascendente, wuwei zhi dao, ma quello immanente, youwei zhi dao o 'il Tao che è', già manifestatosi nell'essere.
La Corte Gialla è completamente sgombra ed è il vuoto tra le manifestazioni del Tao e il Tao stesso. Finché rimaniamo, nel corso della nostra meditazione, al livello dei tre centri, non possiamo conseguire l'unione con il Tao; se vogliamo incontrarlo, perciò, dobbiamo svuotarci completamente mediante il "digiuno del Cuore" o xinzhai.


Così ne parla Zhuang-zi in un celebre brano:
«Quando l'udito si ferma all'orecchio, il Cuore [il cuore e la mente] si limita ad esaminare [segni e simboli]. Ecco com'è lo Spirito vitale: è vuoto [xu] per accogliere [dai, attendere] le creature. Solo nel vuoto si raccoglie il Tao. Il vuoto è l'astinenza del Cuore».
Nello Huainanzi vi è un testo che ha forti analogie con quello appena citato. Esso recita:
«Perciò la quieta solitudine è il luogo di dimora degli "Spiriti” [shenming], vuota inesistenza nella dimora del Tao».
La tabella del Dualismo Trascendentale rappresenta il processo di riduzione dalle Diecimila Cose all'Uno, e di unione con il Tao dell'Immanenza o youwei zhi dao.
Gli esseri umani partono dall'unione con il cosmo intero, simboleggiato dal termine "le diecimila cose" (wanwu) o "miriade di creature".
Quindi la totalità delle cose è ridotta a cinque elementi simbolici (wuxing): acqua (shui), metallo (jin), terra (tu), fuoco (huo) e legno (mu), con le cinque direzioni (wufang) a essi corrispondenti e via di seguito. Il passo successivo consiste nel ridurre questi cinque elementi a tre, Jing, Qi, Shen.
Successivamente ogni cosa è ridotta a una sola nella Corte Gialla. Sedendo in quest'ultima siamo uniti al Tao immanente.

Come già detto, la Corte Gialla non è un luogo specifico, ma uno stadio spirituale che è possibile raggiungere sebbene sia al di là della portata dei nostri poteri ordinari.

venerdì 14 ottobre 2016

Il suonatore di liuto - Storia vietnamita


Questa è la storia di un baldo giovane, forte e volenteroso che, come talvolta capita, oltre alle sue braccia non possedeva nient’altro. Anzi no, aveva un cane e un flauto. E sapeva suonare molto bene.
Ogni giorno, dopo aver duramente lavorato nei campi, per riposarsi, si metteva a suonare, la gente ascoltava con piacere. 
Le ragazze del paese erano tutte innamorate di lui, anche le più ricche lo avrebbero sposato volentieri. Ma lui non le guardava nemmeno. 
Stanche di essere ignorate, finirono… per odiarlo. E l’odio è un cattivo consigliere: le ragazze decretarono la morte del povero giovane.
 Un giorno, mentre lui se ne stava tranquillo a suonare il flauto sull’orlo di una fossa profonda, gli arrivarono alle spalle e lo buttarono giù. Il giovane perse conoscenza, ma non si fece un gran male. Quando si riebbe, sentì guaire il suo cane.

- Buttami il flauto – gli gridò. E il cane ubbidì. Il giovane cominciò a suonare, ai primi accordi ecco arrivare uno stuolo di scimmie, curiose e intelligenti. Capirono la situazione e subito saltarono tutte sul ramo alto di un robusto cocco che sorgeva vicino alla fossa e lo curvarono in modo tale che il giovane poté aggrapparsi ai rami e tirarsi fuori.



Le cattive ragazze non se la diedero per vinta. Attesero il momento propizio e riuscirono a far precipitare il giovane in un burrone ben più profondo della prima fossa. Il poveretto penò moltissimo, tentò più e più volte di arrampicarsi lungo le ripide pareti scoscese. Si graffiò il volto, si ferì le mani, ricadde; per non morire di fame fu costretto a cibarsi di erbe e di radici. Si coprì di barba, i capelli erano diventati un cespuglio, gli abiti sbrindellati.
 
Quando riuscì a uscire da quell’inferno era irriconoscibile. Con gran fatica, camminò fino a raggiungere una risaia. Le prime persone che incontrò furono due sorelle giovani e graziose. La maggiore si spaventò alla vista di quello sconosciuto così male in arnese e fuggì, ma l’altra comprese che l’uomo che le stava davanti doveva aver molto sofferto e gli andò incontro.
Il giovane si offrì di lavorare per loro nella risaia in cambio di un po’ di cibo.
 A turno le due sorelle gli portavano da mangiare: la maggiore lo trattava con distacco, gli parlava duramente, la minore, invece, era gentile, dolce, ascoltò piena di comprensione la storia delle sue peripezie. 

Quando il giovane si sentì meglio, chiese di poter migliorare il suo aspetto. Le ferite del volto erano guarite, desiderava sbarbarsi, lavarsi, pettinarsi. E il giovane ritrovò la sua forma smagliante: era davvero un bel giovane e… se ne innamorò anche la sorella maggiore. 
Lo condussero a casa loro, lo presentarono al padre, che accettò di assumerlo come fattore. 
Poi ci fu quel giorno che il genitore, dovendo allontanarsi da casa per degli affari, ordinò alle sue figliole di ripulire due sentieri dietro casa, uno coperto di erbe spinose, l’altro di arbusti. 
La figlia maggiore scelse subito il lavoro più facile, quello di strappare gli arbusti; alla minore rimase il compito di strappare le erbe spinose. Ma il giovane si unì a lei nel duro lavoro e allegramente lo eseguirono insieme.
 
Al suo ritorno, il genitore fu lieto di concedere ai due ragazzi, visibilmente innamorati uno dell’altra, il consenso alle nozze.