venerdì 28 luglio 2017

Importanza del tatto - Tratto da uno scritto di Carla Weber


“Pensiamo al tatto. Sentire anche intensamente altre entità rimanendo se stessi. Sentire quello che sente un’altra o un altro, solo sfiorandoli, alla ricerca di un’intonazione emozionale che, per quanto elevata e profonda possa essere, non annulla la differenza. Anzi: la differenza è condizione di quella possibilità e ne costituisce anche il vincolo generativo. Ma, allora, è possibile l’intonazione emozionale o non lo è?. Ecco il punto: è sia possibile che impossibile. È una fenomenologia impossibile. Possiamo esperirla e trarre da quella fonte il senso e il significato della nostra esperienza, bella o terribile, ma la possibilità di viverla dipende dall’essere, noi, dentro e fuori allo stesso tempo, in quella dinamica relazionale. Il tatto, come movimento, richiama per analogia il fenomeno dell’empatia. Nel movimento del tatto emergono affinità con quel movimento interno, definito empatia, che permette a una persona di entrare in risonanza con un’altra nel tentativo di comprenderla. Corpo e movimento sembrano essere alla base della risonanza, in quanto l’inter-corporeità consente alla qualità dell’esperienza di una persona di avvicinarsi alla qualità dell’esperienza altrui. Non vi sono intenzioni cognitive nel tipo di conoscenza che fa riferimento alla capacità di comprendere la soggettività dell’altro tramite la risonanza con il suo corpo e cioè attraverso la riproduzione in noi stessi della condizione altrui. L’empatia, se mediata da uno sforzo di comprensione, o se sospesa provvisoriamente per inaccessibilità alla comprensione o per determinazione a escludere e negare, sembra legarsi al movimento di avvicinarsi o allontanarsi. Nel vocabolario di Luigi Pagliarani, empatia è stata una parola ombra, associata di solito a parole chiave come relazione, conflitto, mancanza, ambiguità, ma soprattutto amore. Conflitto, polemos, in primo luogo assorbiva, secondo Pagliarani, l’interesse di ricerca e il senso e la natura stessa della possibilità e dei vincoli di incontrarsi, essere attenti l’uno all’altro, di comprendersi. La giusta distanza, il respectum, erano per Pagliarani condizioni per elaborare i vincoli e le possibilità della relazione. Sia che fosse caratterizzata dall’accordo, o dall’antagonismo, oppure dal conflitto, quella relazione aveva il carattere distintivo dell’incompletezza, della mancanza. In particolare l’attenzione, in questo approccio, è rivolta alla possibilità di sentire aspetti del mondo capaci di generare esperienze creative e estetiche. La centralità della relazione sta nel fatto che abbiamo bisogno degli altri per individuarci e allo stesso tempo la comprensione con gli altri è soggetta ai problemi e ai vincoli dell’approssimazione. L’empatia regola le possibilità e i vincoli dell’approssimazione; allo stesso tempo l’exopatia regola le possibilità della distanza. L’individuazione dipende da entrambe. Il problema da spiegare è: come mai è possibile la distanza, essendo noi naturalmente empatici? 

Il costrutto di empatia ha sperimentato un processo di exopatia. L’exopatia, o presa di distanza, è condizione necessaria per ogni forma di conoscenza. Noi non sapremo mai cosa si prova ad essere un altro, nel senso di essere lui o lei: possiamo approssimarci, e quell’approssimazione contiene, allo stesso tempo, condivisione e negazione, attrazione e paura. L’incontro con l’altro, così come quello con il reale, è sempre in parte traumatico, soprattutto perché propone qualcosa di diverso dalla ripetizione dello “Stesso”, come ha sostenuto Jaques Lacan. La natura dell’incontro, probabilmente non è distinta dalla ricerca, ma dal trovare; o ancora più probabilmente dall’essere trovati. Il punto soggettivo in cui si è giunti con la propria formazione, la propria capacità di individuarsi e fare un lavoro sufficientemente buono con se stessi entra in contatto con l’altro e prova, almeno in parte, ad essere l’altro. Si trova, trovando l’altro, ma in quanto è coinvolto e distaccato allo stesso tempo. Non siamo mai svincolati da noi stessi e l’empatia non risolve l’ambiguità costitutiva della relazione con l’altro; ne rappresenta una possibilità”. 
Il fenomeno della risonanza è senz’altro presente nel rapporto cliente-Operatore e nella Teoria del Campo quando si conduce un gruppo. Ecco perché noi dobbiamo continuamente lavorare come dice il Ling Shu: “Prima di pungere controllare lo Shen”.

lunedì 24 luglio 2017

Risonanza ed empatia nel Bioenergetic-shen Treatment®


Nel 1665 il fisico e matematico olandese Christiian Huygens, tra i primi a postulare la teoria ondulatoria della luce, osservò che, disponendo a fianco e sulla stessa parete due pendoli, questi tendevano a sintonizzare il proprio movimento oscillatorio, quasi “volessero assumere lo stesso ritmo”. Dai suoi studi deriva quel fenomeno che oggi chiamiamo ‘risonanza’. Nel caso dei due pendoli, si dice che uno fa risuonare l’altro alla propria frequenza. Lo stesso poi fu dimostrato con le onde sonore. Il fenomeno della risonanza in acustica è del tutto analogo al fenomeno della risonanza nel caso generale, per cui l’ampiezza di una vibrazione aumenta se vi si applica una forza della medesima frequenza (esempio dei due diapason). 
Ecco il motivo della musica nella libera interpretazione delle sequenze del Bioenergetic-shen Treatment®. La melodia trasmessa crea un effetto di risonanza vibratoria nell’Operatore il quale dovrà trasmetterla al cliente. E, siccome tutto ciò che esiste vibra, si può sostenere, senza tema di dubbio, che il fenomeno ha un campo d’azione illimitato.



La legge di risonanza è di eccezionale interesse per noi poiché può applicare, come abbiamo appena visto, a tutto ciò che vibra. Sembrerebbe che il macrocosmo ed il microcosmo si influenzino reciprocamente. Così noi stessi, esseri umani, possiamo entrare in risonanza con la nostra anima, quella parte di noi vitale, che vuole funzionare con la nostra parte egoica, che, pur dotata di grande forza, rischia di creare interferenze e di impedire una sana autorealizzazione. Ciò che risuona con l’ego interferisce con l’anima. E viceversa.
Ma non è l’accumulo nozionistico del sapere stravagante e inutile che porta alla costruzione di qualcosa di essenziale per la propria esistenza, ma è la scelta di vivere il sapere, gustandolo, verificandolo e praticandolo fino a sentire che diviene il proprio sangue, e solo allora, nel momento in cui si trasforma in conoscenza, diventa parte di sé, si fonde indissolubilmente con l’essere autentico.
Il gradino successivo che l’umanità si appresta a compiere va nella direzione della saggezza e risponde alla domanda: “Qual è il miglior uso possibile della conoscenza che abbiamo a disposizione?”  Conoscenza e saggezza devono procedere mano nella mano, poiché la conoscenza da sola è talvolta peggiore dell’ignoranza.


Nonostante tutto questo, però, nessuno ha ancora definito cosa sia fatta un’interazione umana.
L’interazione umana si esprime spesso come azione. Possiamo considerare l’interazione umana come una forza tra due corpi fisici? Sì, le persone sono corpi fisici e l’interazione è descrivibile come forza che si stabilisce tra i due. 
Un’interazione umana è anche fatta di dialoghi; segue pertanto il comportamento delle onde sonore che seguono le leggi della meccanica ondulatoria e che sono soggette a tutti i fenomeni tipici della propagazione per onde, come la riflessione, l’interferenza e la risonanza (importanza del ‘tono’ della voce).
Ciò che si è osservato è che se il cervello è sottoposto a impulsi (visivi, sonori o elettrici) di una certa frequenza, la sua naturale tendenza è quella di sintonizzarsi. Il fenomeno è detto 'risposta in frequenza'. Per esempio, se l'attività cerebrale di un soggetto è nella banda delle onde beta (quindi, nello stato di veglia) e il soggetto viene sottoposto per un certo periodo a uno stimolo di 10 Hz (onde alfa), il suo cervello tende a modificare la sua attività in direzione dello stimolo ricevuto.Il soggetto passa dunque ad uno stato di rilassamento proprio delle onde alfa.